Nonostante la sua natura impignorabile, parte della giurisprudenza considera l’assegno unico come “entrata effettiva e costante” e dunque rientrante nella liquidazione controllata
Le somme da destinare al mantenimento del debitore e della sua famiglia sono da escludere dalla liquidazione non concorrendo alla formazione del reddito ed essendo impignorabili ex art. 545 c.p.c.
L’assegno unico e universale per i figli è stato istituito con il DECRETO LEGISLATIVO 29 dicembre 2021, n. 230, art. 1, quale “beneficio economico attribuito, su base mensile, per il periodo compreso tra marzo di ciascun anno e febbraio dell’anno successivo, ai nuclei familiari sulla base della condizione economica del nucleo, in base all’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159”.
L’art. 2 co 2 del citato decreto legislativo recita “L’assegno unico di cui all’articolo 1 spetta, nell’interesse del figlio, in parti uguali a chi esercita la responsabilità genitoriale, salvo quanto previsto dall’articolo 6, commi 4 e 5”.
L’art. 8 co 1 del citato decreto legislativo recita “L’assegno non concorre alla formazione del reddito complessivo di cui all’articolo 8 del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.”
L’art. 268 co 4 CCII recita “Non sono compresi nella liquidazione: a) i crediti impignorabili ai sensi dell’articolo 545 del codice di procedura civile; quest’ultimo al co 2 recita “Non possono essere pignorati crediti aventi per oggetto sussidi di grazia o di sostentamento” in cui senz’altro rientra l’assegno unico e universale.
Nonostante l’impostazione generale, la giurisprudenza sta affrontando casi in cui l’assegno unico è stato oggetto di attenzione nell’ambito della liquidazione controllata, soprattutto per quanto riguarda la quota di reddito disponibile che il debitore deve versare nell’ambito della procedura. In particolare, alcune sentenze hanno affrontato la questione della compatibilità della liquidazione controllata con la percezione dell’assegno unico da parte del debitore, stabilendo che, seppur non rientrante nel patrimonio liquidabile, l’assegno unico potrebbe influire sulla quota di reddito che il debitore deve destinare al soddisfacimento dei creditori
Il Tribunale di Torino si è interrogato sul riconoscimento o meno della natura di bene da mettere a disposizione del ceto creditorio nella misura eccedente al fabbisogno familiare giudizialmente determinato in capo all’assegno unico percepito dal debitore. Sul punto, la sentenza pronunciata il 2 giugno 2025 ha precisato come, nonostante la sua impignorabilità, “l’assegno unico sia”, comunque, “un’entrata effettiva e costante, che concorre – come del resto i redditi e le altre entrate mensili di tutti gli altri componenti del nucleo familiare in età lavorativa – alla copertura del fabbisogno familiare, nel quale è calcolato per differenza il reddito lavorativo disponibile, che il debitore ricorrente ha la possibilità e quindi l’obbligo di mettere a disposizione dei creditori”.
In secondo luogo, il Tribunale di Torino, sempre nella medesima sentenza, ha altresì precisato un ulteriore aspetto, forse ovvio, ma comunque dibattuto e sovente non integralmente percepito nel contesto delle procedure che qui ci occupano: nello specifico, la pronuncia si è soffermata sulla sorte della tredicesima mensilità e di ogni altra mensilità di retribuzione corrisposta al debitore, con forza affermando come, trattandosi di voce retributiva compresa nell’alveo di cui all’art. 268 comma 4 lett. b) del DLgs. 14/2019, la stessa debba essere indubbiamente messa a disposizione del ceto creditorio de facto integralmente ove le spese necessarie al sostentamento familiare fossero state computate e ripartite sui dodici mesi dell’anno solare.
Il Tribunale di Torino, in terzo luogo, ha altresì arricchito il dibattito intorno alla vexata quaestio relativa alla liquidabilità del TFR del debitore, riaffermando preliminarmente quanto già espresso nella precedente pronuncia resa il 22 aprile 2025 (ovverosia, la sua liquidabilità, nella misura determinata dal giudice, sol ove lo stesso divenga di fatto esigibile al verificarsi delle condizioni previste dalla legge), ma operativamente e utilmente precisando come, in tal guisa, il liquidatore sia tenuto a notificare “la sentenza per estratto al datore di lavoro, se possibile a mezzo PEC, e deposita[re] copia della notifica nel fascicolo telematico, al fine di rendere noto al datore di lavoro il vincolo sulle somme dovute a titolo di TFR e che il debitore, con l’apertura della liquidazione controllata, ha perduto la facoltà di riscuoterlo personalmente o di chiedere anticipazioni, senza il consenso del Liquidatore, debitamente autorizzato dal Giudice”.