Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 19750, depositata il 16 luglio, hanno stabilito che l’estinzione di una società, conseguente alla cancellazione dal Registro delle imprese, non comporta anche l’estinzione dei suoi crediti. I crediti della socetà, al momento della sua estinzione, si trasferiscono in capo ai soci a meno che non vi sia stata remissione del debito e che il debitore non abbia dichiarato di non volerne profittare.
A rimettere la questione alle Sezioni Unite era stata l’ordinanza interlocutoria n.16477/2024, che aveva segnalato l’insorgenza di contrastanti ricostruzioni nella giurisprudenza di legittimità
La differenza tra i due orientamenti sta nel fatto che, mentre per il primo la regola è che il diritto si trasmette ai soci, nonostante la mancata inclusione nel bilancio finale di liquidazione, e l’estinzione costituisce un’eccezione che deve essere rigorosamente allegata e provata da chi intenda farla valere, per il secondo la mancata inclusione nel bilancio finale di liquidazione rende applicabile, almeno per le mere pretese ed i crediti incerti o illiquidi, una presunzione semplice di estinzione, che pone a carico dell’ex socio che intenda azionare un diritto della società o proseguire un giudizio dalla stessa iniziato l’onere di allegare e provare di essere subentrato nella titolarità del diritto fatto valere
Le Sezioni Unite della Suprema Corte aderiscono alla prima impostazione, criticando la seconda perchè:
in primo luogo evidenziano le incertezze applicative connesse all’individuazione dei diritti suscettibili di estinzione, in ragione dell’indeterminatezza della distinzione tra i diritti veri e propri e le varie categorie che emergono dalla terminologia di volta in volta adottata (“mere pretese, ancorché azionate ed azionabili in giudizio”, “diritti litigiosi o illiquidi”, “diritti ancora illiquidi ed incerti” e “ragioni di credito”), a cui si aggiunge la difficoltà di individuare le modalità di iscrizione in bilancio delle “mere pretese” al fine di evitarne l’estinzione e di garantirne la trasmissione ai soci.
In secondo luogo, inoltre, evidenziano la difficoltà di ricondurre un comportamento meramente omissivo, e neppure rivolto ad un destinatario determinato, qual è la mancata inclusione del credito nel bilancio finale di liquidazione, alla disciplina civilistica della rinuncia al credito o della remissione del debito, che richiede una manifestazione di volontà specificamente portata a conoscenza del singolo creditore.
Si sottolinea anche come ricollegare più o meno automaticamente alla mancata iscrizione in bilancio l’estinzione del credito significhi esporre a pregiudizio i creditori sociali, i quali, pur vedendo ridotto il valore patrimoniale complessivamente destinato alla soddisfazione dei loro crediti, in misura pari al valore della pretesa o del credito incerto o illiquido, non hanno alcun mezzo di tutela a fronte della cancellazione della società.
Di conseguenza, conclude la decisione in commento, risulta preferibile l’orientamento che, escludendo l’operatività di una presunzione di estinzione in conseguenza della mancata inclusione del credito nel bilancio finale di liquidazione, pone a carico del soggetto convenuto in giudizio dall’ex socio, o nei confronti del quale quest’ultimo intenda proseguire un giudizio promosso dalla società, l’onere di allegare e dimostrare la mancata successione della controparte nella titolarità del credito originariamente spettante alla società. Spetta alla parte che resiste alla pretesa a dover far valere l’avvenuta estinzione del credito azionato nei suoi confronti, allegando e provando l’esistenza di un’inequivoca manifestazione di volontà remissoria, avente lei stessa come specifica destinataria.