Assonime critica l’impianto complessivo della responsabilità civile dei sindaci ex art. 2047 c.c. I vari aspetto problematici
L’aspetto che maggiormente colpisce nella circolare che Assonime dedica alla nuova disciplina della responsabilità civile dei sindaci (la n. 18, resa pubblica ieri) è la forte, e tutt’altro che velata, critica nei confronti dell’impianto normativo dell’art. 2407 c.c.
Secondo l’Associazione, “la nuova disciplina sulla responsabilità civile dei sindaci nel modello tradizionale viene … ridisegnata a salvaguardia di una categoria di soggetti a scapito di una visione sistematica della materia, sollevando questioni di opportunità e, per alcuni commentatori, di costituzionalità delle norme”.
Il nuovo art. 2407 c.c, inoltre, introduce un cambiamento significativo nel sistema della responsabilità civile, connotato dall’obbligo di ristoro integrale del danneggiato, inserendo una limitazione della responsabilità sindacale
Perplessità sono espresse anche rispetto all’avere ancorato la misura della limitazione del risarcimento non al danno cagionato, ma al compenso, in contrasto con i principi generali sulla responsabilità civile.
Problematica rischia di presentarsi la limitazione della misura del danno risarcibile anche ai casi di colpa grave; ciò in quanto la novità potrebbe condurre a rendere l’attività di controllo del Collegio sindacale meno incisiva e, di fatto, rimessa allo scrupolo del singolo sindaco.
Dal punto di vista sistematico, invece, si evidenzia come la nuova disciplina ponga un problema di coordinamento e coerenza con le funzioni e le responsabilità di altre figure che, tipicamente, svolgono funzioni di controllo nelle spa.
Tale rilievo vale, in primo luogo, con riguardo al soggetto incaricato di svolgere la mera funzione di revisore legale (questione che potrebbe essere risolta qualora dovesse essere approvato il Ddl n. 1426 – attualmente all’esame della Commissione Giustizia del Senato in sede redigente – volto ad applicare anche ai revisori legali un regime di limitazione della responsabilità fondata su un multiplo del compenso).
Analoghi disallineamenti sono da registrare rispetto alla responsabilità prevista per i consiglieri di amministrazione non esecutivi, così come, nei modelli alternativi di governance, per i componenti degli organi che si caratterizzano per lo svolgimento di funzioni di controllo, ossia: i componenti del Consiglio di sorveglianza (nel sistema dualistico) e quelli del Comitato per il controllo interno (nel sistema monistico). Rispetto a questi soggetti, infatti, nulla è precisato dalla nuova disciplina, con la conseguenza che essi continuano a rispondere illimitatamente, ingenerando non solo una questione di ragionevolezza, ma anche un problema di concorrenza tra i modelli sotto il profilo delle regole di responsabilità, che si attenuano solo nel contesto del modello tradizionale.
La circolare Assonime n. 18/2025, poi, oltre a ricapitolare le differenti ricostruzioni che, al momento, si sono registrate nei primi interventi della dottrina e della giurisprudenza sui molteplici aspetti problematici generati dal nuovo testo normativo, prende posizione su alcuni di essi.
Si ritiene, in particolare, che, nel caso in cui al Collegio sindacale siano affidate anche le funzioni dell’Organismo di Vigilanza (OdV) ex DLgs, 231/2001 il regime di cui all’art. 2407 c.c possa trovare applicazione quando l’attività di ODV si incroci con quella del Collegio sindacale. A tal riguardo si prende in considerazione l’ipotesi in cui il Collegio sindacale-OdV, nella sua attività di verifica dell’idoneità del modello organizzativo ai fini della prevenzione di reati, riscontri un’insufficienza del suddetto modello. Poiché il modello organizzativo è parte del sistema di controllo interno e il Collegio sindacale è chiamato anche a vigilare sull’idoneità dell’assetto organizzativo, la non idoneità dello stesso dovrebbe comportare l’obbligo del Collegio sindacale di attivare le misure di reazione/intervento di cui dispone (in questo caso una segnalazione al CdA); di contro, la mancata adozione delle suddette misure potrebbe determinare una responsabilità limitata.
È, inoltre, reputato ragionevole intendere per compenso “percepito”, cui parametrare la limitazione del obbligo di risarcimento, il compenso annuo “pattuito” in sede assembleare o previsto dallo statuto.
Quanto, infine, all’ultimo comma dell’art. 2407 c.c. – ai sensi del quale l’azione di responsabilità verso i sindaci si prescrive nel termine di 5 anni dal deposito della relazione concernente l’esercizio in cui si è verificato il danno – si osserva come per “deposito” si dovrebbe intendere quello presso il Registro delle imprese ex art. 2435 c.c. comma 1 c.c. (e non quello presso la sede della società ex art. 2429 comma 3 c.c.), in quanto momento in cui la relazione è resa disponibile al pubblico divenendo conoscibile dai terzi (soluzione che, comunque, non è ritenuta coerente con il principio giurisprudenziale secondo cui il termine di prescrizione del diritto al risarcimento danni decorre dal momento in cui il danneggiato abbia potuto avere ragionevole percezione della condotta illecita e del danno).