Nell’ordinanza n. 14265/2025, la Corte di Cassazione ha ribadito che l’azione individuale di responsabilità ai sensi dell’art. 2395 c.c. esige che il comportamento doloso o colposo dell’amministratore – posto in essere tanto nell’esercizio del proprio ufficio quanto al di fuori di esso – abbia determinato un danno diretto ed autonomo nel patrimonio del socio o del terzo.
Questi soggetti sono legittimati, anche dopo il fallimento, all’esercizio dell’azione (di natura aquiliana) per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera patrimoniale solo quando il nocumento riguardi direttamente detta sfera e non quando lo stesso costituisca un mero riflesso del pregiudizio che abbia invece interessato il patrimonio sociale.
I danni “riflessi” sono esclusi da tale risarcimento in virtù di una delimitazione volutamente imposta dalla disposizione del codice civile.
Appare, infatti, arduo immaginare “danni riflessi” in grado di superare lo scrutinio del nesso eziologico, comunque necessario; con la conseguenza che tale categoria di danni diventerebbe del tutto evanescente.
Si riconosce, quindi, al singolo socio o al terzo la possibilità di agire per il danno-evento prodotto nella propria specifica sfera patrimoniale e non anche il danno-evento che, interessando il patrimonio della società, presenti, rispetto alla loro posizione, conseguenze patrimoniali negative solo mediate, in quanto dipendenti, appunto, dalla compromissione del patrimonio sociale.
Il danno prodottosi “direttamente” nel patrimonio del socio o del terzo è – e rimane – un danno-evento determinato dalla condotta degli organi sociali, ma si colloca integralmente al di fuori della lesione all’integrità del patrimonio sociale.
Lo specifico danno-evento “diretto”, poi, fonderà la pretesa risarcitoria del socio o del terzo in presenza di uno o più concreti riflessi patrimoniali lesivi che siano “conseguenza immediata e diretta” (danno-conseguenza) del danno-evento, ma che intanto potranno essere valutati in quanto scaturiscano da un danno-evento che abbia interessato “direttamente” il socio o il terzo, operando la regola di cui all’art. 1223 c.c. sul piano della mera determinazione quantitativa dei danni.
E’ di questo avviso anche altra giurisprudenza di legittimità, quale la sent. n. 11071/2025 della Corte di Cassazione, che afferma il seguente principio. Il socio ha titolo ad ottenere il risarcimento dei soli danni che investano la propria situazione soggettiva in modo immediato. Danni che sono stati, ad esempio, ritenuti esistenti nei seguenti casi: non veritiera rappresentazione della società che abbia indotto all’acquisto di azioni a un prezzo difforme da quello reale; lo storno, da parte del liquidatore di una società cooperativa edilizia, a copertura del debito di un socio inadempiente, del versamento effettuato da altro socio per il pagamento della sua rata; mancata consegna ai sottoscrittori delle azioni corrispondenti al valore nominale delle somme versate (cfr. Cass. n. 2055/1979).
C’è tuttavia un caso in cui i soci sono legittimati ad agire per danni “riflessi” alla società. Giova segnalare che l’art. 2497 comma 1 c.c. stabilisce che le società o gli enti che esercitano attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei princìpi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società.
Focalizzando l’attenzione sui soci, emerge come essi siano legittimati ad agire per ottenere il risarcimento di un danno – alla redditività ed al valore della propria partecipazione sociale – che rappresenta il “riflesso” del danno subìto dalla società “abusata” (cfr. App. Milano n.. 1849/2020 nonché Trib. Milano n 2575/2016 e Trib. Milano 20 dicembre 2013) in cui si evidenzia come sia dirimente, al riguardo, l’art. 2497 comma 3 c.c., nella parte in cui – prevedendo la possibilità che sia la stessa società eterogestita a risarcire i suoi soci e i creditori del danno che indirettamente hanno subìto per effetto dell’esercizio dell’attività dell’ente dirigente, legittima la stessa società eterogestita a rivolgersi all’ente dirigente per ottenere il risarcimento del danno – che altrimenti subirebbe due volte).