E’ possibile ravvisare una responsabilità da contatto sociale in presenza di alcuni requisiti: (i) il carattere determinato dei soggetti tra i quali il contatto si instaura per il raggiungimento di uno scopo comune; (ii) il coinvolgimento nell’ambito del contatto di beni della vita meritevoli di protezione; (iii) la sussistenza di un obbligo di diligenza qualificata ex art. 1176, comma 2, c.c. in capo ad uno dei soggetti coinvolti nel contatto sociale, di tal che l’altro soggetto possa riporre un ragionevole affidamento sulla professionalità della condotta altrui; (iv) l’inadempimento di specifici obblighi di protezione da parte dell’operatore professionale; (v) la mancanza di un contratto che vincoli le due parti.
Detto altrimenti, pur in mancanza di un contratto che obblighi i soggetti coinvolti ad effettuare delle prestazioni, dal contatto sociale sorge un obbligo di protezione in capo all’operatore professionale, che implica anche l’obbligo di tenere talune condotte attive. Si è parlato, in proposito, di obbligazioni senza prestazione.
La responsabilità da contatto sociale non trova dunque fondamento in un contratto ma, piuttosto, in un contatto sociale giuridicamente qualificato dall’ordinamento giuridico e produttivo di obblighi di protezione. Tuttavia, essa è comunque sottoposta a quello che (con una sineddoche) viene definito come regime della responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c..
Uno dei campi di elezione della responsabilità da contatto sociale è sempre stato quello della responsabilità del medico dipendente dalla struttura sanitaria.
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La Corte di Cassazione (con sentenza n. 14188/2016) ha poi chiarito che anche la responsabilità precontrattuale è una responsabilità da contatto sociale, che soggiace al regime giuridico della responsabilità contrattuale. La trattativa è infatti una fonte di obbligazioni ex art. 1337 c.c. (obblighi specifici di diligenza e di buona fede) che precede la conclusione del contratto. In tal caso, manca dunque un contratto ma, al contempo, obbligazioni di protezione nei confronti della controparte sorgono in forza degli obblighi di correttezza e buona fede imposti dall’art. 1337 c.c.
È stata qualificata come responsabilità da contatto sociale anche quella della banca per false informazioni ai terzi e per il pagamento di assegni non trasferibili a soggetto non legittimato. Si è affermato che una responsabilità da contatto sociale in capo alla banca è ravvisabile qualora essa abbia illegittimamente consentito la riscossione di un assegno da parte di un soggetto non legittimato (in quanto diverso dal creditore legittimato), senza che la banca abbia adempiuto agli obblighi di diligenza in merito all’identificazione del soggetto asseritamente legittimato (sul punto, da ultimo, le Sezioni Unite n. 12477/2018).
Una responsabilità da contatto sociale è stata ravvisata anche nei rapporti tra insegnante e alunno, qualora vi sia stato un inadempimento agli obblighi di vigilanza. In particole le Sezioni Unite n. 9346/2002 hanno escluso l’applicabilità dell’art. 2048 c.c. (e quindi la natura aquiliana della responsabilità dell’insegnante), in quanto tale norma attiene alla responsabilità del vigilante per lesioni nei confronti dei terzi. La Cassazione (con sentenza n. 21593/2017) ha poi chiarito che l’obbligo di vigilanza si estende anche oltre l’orario scolastico e il confine della scuola, in quanto persiste fino a quando il minore non venga sottoposto alla vigilanza altrui.
Secondo la giurisprudenza di merito è poi possibile ascrivere all’ambito del contatto sociale anche la responsabilità dell’istituto penitenziario per il trattamento del detenuto che risulti contrario all’art. 3 CEDU. La qualificazione di tale responsabilità come da contatto sociale muove dalla assenza di un vero e proprio contratto tra il detenuto e l’istituto penitenziario.
È stata ipotizzata una responsabilità da contatto sociale anche nel caso di inadempimento di obblighi derivanti dal rapporto di mediazione tipica ex art. 1754 c.c. La giurisprudenza più recente (Cass. n. 16382/2009) nega infatti che si sia in presenza di un contratto, affermando invece la sussistenza di un contatto sociale qualificato. L’instaurazione da parte del mediatore della trattativa finalizzata alla conclusione dell’affare dà luogo a un contatto giuridicamente qualificato alla luce: (i) della determinatezza dei soggetti; (ii) della professionalità del mediatore che deve essere iscritto ad un albo; (iii) della rilevanza del bene giuridico tutelato e degli obblighi di correttezza e diligenza.
Di responsabilità da contatto sociale si potrebbe anche parlare, in ambito societario, con riferimento alla figura dell’amministratore di fatto. In tal caso manca una nomina giuridicamente vincolante e, al contempo, atti di mala gestio non potrebbero essere opportunamente ricondotti alla mera violazione del principio di neminem laedere.
Infine, la giurisprudenza ha cercato di configurare una responsabilità da contatto sociale in capo alla P.A. nel caso di violazione di obblighi comportamentali imposti dalla legge 241 del 1990 (es. garanzia della difesa, partecipazione procedimentale, garanzia del tempo, garanzia del contraddittorio) nel corso del procedimento. Prevale però la tesi che, in tal caso, verrebbe in rilievo una responsabilità di tipo aquiliano, sulla scorta dell’insegnamento della nota sentenza della Cassazione n. 500/1999.