Nel panorama giuridico relativo al diritto societario, una questione spesso dibattuta è la legittimità delle clausole dello Statuto che consentono al socio di recedere da una società in qualsiasi momento, senza necessità di addurre una giusta causa e con il solo obbligo di fornire un adeguato preavviso.
La recente sentenza della Cassazione n. 2629 del 29 gennaio ha confermato la legittimità di tali clausole, ma ha sottolineato l’esigenza e la possibiltà di un successivo controllo giurisdizionale del recesso non motivato da una giusta causa, ispirato al rispetto dei principi di correttezza e buona fede.
Le clausole di recesso ad nutum, ossia che prevedono per il socio la facoltà di recedere ad nutum (ossia senza giusta causa), con la sola condizione di darne preavviso almeno 180 giorni prima, sono state riconosciute valide per le SPA, anche quelle a tempo determinato, purché non facciano ricorso al mercato del capitale di rischio. La clausola può essere estesa a qualsiasi altro tipo di società.
Per esempio, in una spa può darsi il caso in cui una clasuola di tal genere è inserita nello statuto. Un socio decide di avvalersi di questa clausola e comunica la sua intenzione di recedere dalla società, fornendo il preavviso richiesto di 180 giorni. Tuttavia, gli altri soci o la società stessa possono dal canto loro sollevare dubbi sulla buona fede del recesso dato senza giusta causa, soprattutto perchè potrebbe danni significativi alla società o alterare l’equilibrio societario.
In questi casi, è possibile che la questione venga portata davanti a un giudice, che verificherà la correttezza dell’operato del socio recedente e che non vengano lesi gli interessi degli altri soci o della società.
Il giudizio si concentrerà non solo sulla legittimità formale del recesso, ma anche sulle modalità e sulle conseguenze pratiche dell’azione.
Il socio, pur essendo libero di applicare la clausola statutaria del recesso ad nutum, non può sottrarsi all’eventuale successivo controlo giurisdizionale richiesto.
La valutazione del comportamento del socio in termini di buona fede rappresenta un aspetto cruciale nell’applicazione delle clausole statutarie che regolano il recesso da una società. Questa analisi non si limita a una mera verifica formale delle condizioni previste dal contratto, ma richiede un esame approfondito dei rapporti societari nel loro complesso.
La giurisprudenza recente, tra cui la sentenza della Cassazione n. 8282/2023, ha sottolineato che la legittimità dell’esercizio di un potere negoziale unilaterale, come il recesso, non può essere garantita esclusivamente dalla presenza di una situazione oggettiva delineata nello statuto o nel contratto.
Un esempio significativo di questo approccio si ritrova nella sentenza della Cassazione n. 21731/2022, in cui, in una SNC (società in nome collettivo) formata da soli due soci, il recesso invocato da un socio a seguito dell’inadempimento gestionale dell’altro non è stato considerato legittimo sulla base della sola inosservanza contrattuale. In questa circostanza, il tribunale ha ritenuto che, nonostante un periodo di tolleranza, la mancata messa in mora del socio inadempiente e la richiesta esplicita di adempimento non fossero sufficienti a giustificare il recesso, evidenziando l’importanza di valutare il comportamento complessivo in termini di correttezza e buona fede.
In altri contesti, come evidenziato dalla sentenza della Cassazione n. 28987/2018, la buona fede e la correttezza sono state invocate per colmare eventuali lacune nella regolamentazione statutaria, guidando il giudice di merito nella valutazione delle modalità concrete con cui il diritto di recesso viene esercitato. In particolare, questa prospettiva implica l’analisi della congruità del termine di preavviso con cui il recesso viene comunicato, considerando la pluralità degli interessi coinvolti e l’impatto che tale decisione può avere sull’equilibrio societario.
La sentenza della Cassazione n. 2629 segna un punto di svolta nell’interpretazione delle clausole di recesso ad nutum, confermandone la legittimità ma introducendo un importante meccanismo di bilanciamento basato sul controllo giurisdizionale. Questo approccio riflette la tendenza del diritto societario moderno a conciliare l’autonomia statutaria con la tutela dei valori fondamentali di correttezza e buona fede nelle relazioni tra i soci e tra i soci e la società.