La recente e importante modifica dell’art 2407 c.c. prevede un tetto massimo di responsabilità del sindaco limitato ad un multiplo del compenso percepito dal sindaco stesso. Un tetto alla responsabilità patrimoniale dei sindaci, solidale con quella degli amministratori, per omessa o mancata vigilanza sugli atti di questi ultimi, è stata salutata da tutti come una conquista. Le ragioni di tale entusiasmo sono facilmente individuabili e anche condivisibili: la riforma può porre finalmente fine a prassi assolutamente censurabili che vedevano nei sindaci il principale – quando non unico – destinatario delle richieste di risarcimento che il curatore o i soci avanzano in caso di mala gestio dell’impresa.
Oggi, dunque, la nuova versione della disciplina non consentirà più a chi voglia ottenere un ristoro per danni subiti a seguito di disastri aziendali di avanzare proposte di risarcimento fuori di ogni logica in capo ai componenti dell’organo di controllo – magari contando sull’intervento salvifico delle assicurazioni professionali – ma imporrà di rivolgersi primariamente ai principali responsabili di tali vicende, ovvero agli amministratori dell’impresa, superando anche le frequenti difficoltà che si incontrano in tali casi, essendo tali soggetti privi di coperture assicurative e avendo gli stessi anche messo al sicuro il loro patrimonio personale.
Pur condividendo tali osservazioni, ci pare però opportuno formulare, nell’ottica di un penalista, alcune precisazioni circa l’esatta portata del nuovo art 2407 c.c. comma 2 c.c. quando lo stesso venga preso in considerazione, per l’appunto, nell’ambito di vicende societarie che presentino risvolti di carattere delittuoso.
Temiamo che nella misura in cui il legislatore ha previsto che l’ammontare del risarcimento danni che può essere richiesto a coloro che svolgono la funzione di controllo dipende dal compenso stabilito si possa desumere che anche il contenuto e l’intensità del lavoro che il singolo sindaco è chiamato a svolgere nella società sia dipendente dall’entità del compenso:
E così il sindaco che cercasse di giustificare la propria inerzia o negligenza davanti al giudice penale sostenendo che l’impegno che ha profuso nell’esercizio del suo compito (e ritenuto insufficiente dalla pubblica accusa) era proporzionale al – magari modesto o non significativo – compenso pattuito rischierebbe di vedersi contestare anziché il reato di bancarotta semplice una partecipazione dolosa ai reati più gravi contestati all’imprenditore.
Quando il sindaco si difende sostenendo di non aver prestato la dovuta attenzione alle altrui condotte di mala gestio essendo il corrispettivo stabilito non tale da giustificare un suo maggiore impegno rischia – ma potremmo dire, è certo… – di vedersi contestare il concorso nei delitti dolosi commessi dai vertici aziendali.
La conclusione, in ambito penale, è nel senso che il singolo è stato intenzionalmente inosservante ai propri doveri contando sulla previsione di cui al nuovo comma 2 dell’art. 2407 cc. , che però, per l’appunto, opera solo in sede civile e non penale…
Da ultimo: la nuova disposizione delimita l’importo dell’eventuale risarcimento al “compenso annuo percepito”.
Seguendo la lettera della disposizione, se il sindaco non ha ricevuto quanto concordato, lo stesso nulla dovrebbe risarcire in sede civile… Solo che un sindaco che non riceve compenso e mantiene il proprio ruolo nella società, senza nulla osservare e senza agire sia per ottenere quanto spettantegli che per segnalare a chi di dovere le difficoltà economiche in cui versi la società, sicuramente risponderà di bancarotta semplice per ritardato fallimento o di bancarotta fraudolenta per aggravamento se non addirittura di concorso in altri e più gravi delitti commessi dai vertici societari (d’altronde ci si chiede perché rimanere nel Collegio sindacale se non si è pagati…).