Il Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri e per la Cooperazione Internazionale ha emesso un decreto con il quale è stato accolto il ricorso presentato da un imputato in regime di messa alla prova avverso il decreto della Questura di Milano che negava la concessione del passaporto ordinario.
1. Messa alla prova
La messa alla prova consente di evitare una condanna attraverso lo svolgimento di lavori di pubblica utilità, di volontariato di rilievo sociale o di affidamento al servizio sociale o a una struttura sanitaria, o attraverso prescrizioni relative alla dimora, alla libertà di movimento, di divieto di frequentare determinati locali.
Durante l’espletamento di tali attività o prescrizioni, a norma dell’art. 168-bis c.p., il procedimento resta sospeso, in attesa del loro esito: se questo è positivo, il reato si estingue, in caso contrario il processo riprenderà da dove è stato sospeso.
L’istituto può essere concesso solo agli imputati per reati puniti con la sola pena pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni oppure per reati per i quali si procede con le forme di citazione diretta a giudizio.
2. La posizione della Questura di Milano
La vicenda da cui scaturisce il decreto emesso dal Sottosegretario di Stato del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale prende le mosse dalla richiesta di rilascio del passaporto ordinario da pare di una persona in regime di messa alla prova, richiesta poi negata dalla Questura di Milano.
La Questura di Milano, basandosi sull’interpretazione di un parere del Ministero della Giustizia del 9 agosto 2019, aveva negato la concessione del passaporto ordinario all’imputato, considerando la natura ostativa della messa alla prova alla quale era sottoposto, in quanto istituto “comportante limitazioni di libertà personale al pari delle pene restrittiva della libertà personali”.
Secondo il parere del Ministero della Giustizia cui ha fatto riferimento la Questura di Milano, diversamente ritenendo, si creerebbe una “irragionevole disparità di trattamento tra il soggetto in regime di messa alla prova ed il soggetto in esecuzione di una pena, nel caso in cui il primo sia in grado di espatriare liberamente, al contrario del secondo.”
3. La decisone del Ministero degli Affari Esteri
Avverso tale provvedimento l’imputato ha proposto ricorso gerarchico dinanzi al Ministero degli Affari Esteri ai sensi dell’art. 10, co. 1, l. n. 1185/1967, lamentando la falsa applicazione dell’articolo 3, lett d, l. n. 1185/1967.
Il Ministero degli Affari Esteri ha accolto il ricorso presentato, sulla base delle seguenti considerazioni.
L’articolo 3, lett. d) l. n. 1185/1967 citato, afferma che non possono ottenere il passaporto “coloro che debbano espiare una pena restrittiva della libertà personale o soddisfare una multa o ammenda, salvo per questi ultimi il nulla osta dell’autorità che deve curare l’esecuzione della sentenza, sempre che la multa o l’ammenda non siano già state convertite in pena restrittiva della libertà personale, o la loro conversione non importi una pena superiore a mesi 1 di reclusione o 2 di arresto“.
Si desume che l’elemento ostativo al rilascio del passaporto debba essere, dunque, una sentenza di condanna o un provvedimento equiparabile all’esecuzione di una condanna, natura del tutto estranea a quella dell’istituto della messa alla prova che, anzi, ha come obiettivo evitare la condanna tramite l’estinzione del reato conseguente all’esito positivo della stessa.