Il patto di prova è uno strumento utilizzato frequentemente, per consentire una prova prima dell’avvio dell’assunzione vera e propria.
Che cos’è il patto di prova?
Il patto di prova è una clausola scritta che può essere applicata al contratto di lavoro. La sua funzione è quella di permettere a lavoratori e aziende di avere il tempo di valutare la reciproca convenienza nell’instaurare un rapporto di lavoro. Dunque, stiamo parlando di un atto che permette di subordinare il proseguimento di un rapporto di lavoro all’esito positivo di un periodo di prova stabilito volontariamente dalle parti.
Quando il patto di prova è nullo?
La legge consente al datore di lavoro di assumere il dipendente dopo un primo periodo di prova all’esito del quale, in caso di valutazione negativa della prestazione, licenziarlo senza dover fornire un giustificato motivo. Ciascuna delle parti contrattuali, durante il periodo di prova, può recedere senza formalità e senza motivazioni (recesso ad nutum).
Tuttavia, il patto di prova è valido quando soddisfa determinati requisiti:
1) Esso deve essere innanzitutto scritto, deve indicare il termine della prova e soprattutto le mansioni a cui è addetto il dipendente al fine di verificare se l’eventuale valutazione negativa della sua prestazione è stata effettuata proprio sulle attribuzioni alle quali sarebbe stato preposto e pertanto è da considerarsi obiettiva e non pretestuosa.
La violazione di tali regole porta alla nullità del patto di prova.
In particolare, il patto di prova è nullo quando:
- non è stato riportato nel contratto e pertanto non è scritto ma verbale;
- il patto di prova non è stato firmato da entrambe le parti;
- manca l’indicazione specifica delle mansioni a cui è preposto il dipendente (è tuttavia possibile fare riferimento al sistema classificatorio della contrattazione collettiva);
- concerne mansioni per le quali il dipendente è stato già valutato in passato dall’azienda (si pensi al lavoratore che, prima licenziato, viene poi riassunto per le stesse attività ma con un patto di prova);
- la verifica è stata condotta su mansioni diverse da quelle di assunzione (inferiori o superiori);
- il lavoratore dimostra che il periodo è stato inadeguato a permettere un’idonea valutazione delle sue capacità;
- il licenziamento è riconducibile ad un motivo illecito (come, ad esempio, una ragione discriminatoria) o estraneo al rapporto di lavoro (come, ad esempio, l’invalidità del lavoratore).
Che succede alla scadenza del periodo di prova?
Al termine del periodo di prova entrambe le parti sono libere di recedere dal contratto oppure di continuarne l’esecuzione. Con la mera continuazione dell’esecuzione, e senza che il datore espliciti la volontà di confermare il dipendente, l’assunzione diviene definitiva.
La durata del patto di prova
Possiamo considerare 6 mesi come la durata massima per il periodo di prova. Anche se, di fatto, il Codice civile tralascia questo aspetto, demandandolo alla contrattazione collettiva.
Tuttavia, è l’art. 10 della L. 604/66 (Norme sui licenziamenti individuali) a fare chiarezza. Ovvero, estende la disciplina limitativa dei licenziamenti ai lavoratori in prova nel momento in cui l’assunzione diventa definitiva e, in ogni caso, quando siano decorsi 6 mesi dall’inizio del rapporto di lavoro.
Inoltre, datore di lavoro e lavoratore possono stabilire una durata minima del periodo di prova. In tal caso, sempre secondo l’art. 2096 del Codice civile “il diritto di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine”.
Quali contratti possono prevedere il patto di prova
La clausola del patto di prova può essere apposta a diverse tipologie di contratto, rendendola così una pratica piuttosto diffusa. Infatti, può riguardare contratti:
- a tempo indeterminato;
- a tempo determinato;
- part-time;
- somministrazione di manodopera;
- apprendistato.