Il patto di non concorrenza del lavoratore lo vincola, nella fase post rapporto contrattuale, a non utlizzare i segreti appresi durante lo svolgimento del lavoro prestato. Tutto ciò, in cambio di una somma di denaro. Le parti possono sottoscrivere un patto di non concorrenza contestualmente alla sottoscrizione del contratto di lavoro, durante il rapporto, ovvero al termine del rapporto stesso.
2.1 La forma scritta
Prima di tutto, è necessario che l’accordo di non concorrenza abbia forma scritta. Un patto di non concorrenza in forma verbale è quindi nullo.
Il patto può essere contenuto nello stesso contratto di assunzione o previsto in una scrittura privata separata.
2.2 Il corrispettivo per il lavoratore: a) l’importo
In secondo luogo, il patto di non concorrenza deve sempre essere retribuito con un corrispettivo congruo per il lavoratore che lo sottoscrive, in relazione al sacrificio richiesto a quest’ultimo. La somma dovuta lavoratore può essere stabilita come quota fissa o come percentuale della retribuzione.
Il compenso per il dipendente dovrà essere quindi congruamente determinato in relazione ai seguenti elementi:
- la posizione gerarchica del lavoratore in azienda;
- la retribuzione del lavoratore;
- l’ampiezza del territorio al quale si applica il patto;
- le attività/imprese concorrenti individuate nel patto;
- la durata del patto.
Il corrispettivo inimo deve essere comunque pari al 20/20% della retribuzione del lavoratore.
2.3 Il corrispettivo per il lavoratore: b) modalità di erogazione
Il corrispettivo in favore del lavoratore può essere erogato in un’unica soluzione al momento della cessazione del rapporto di lavoro, oppure in costanza del rapporto di lavoro, quale percentuale fissa – o a volte crescente, in funzione dello sviluppo professionale – della retribuzione.
Nel primo caso, il corrispettivo rimane assoggettato al medesimo regime fiscale di tassazione separata del trattamento di fine rapporto e sottratto agli obblighi contributivi. Se invece il corrispettivo viene percepito dal lavoratore prima della cessazione del rapporto di lavoro (sotto forma di percentuale sulla retribuzione), il corrispettivo concorre a formare la base per il calcolo del trattamento di fine rapporto ed è sottoposto allo stesso trattamento fiscale e contributivo della retribuzione del lavoratore.
Questa seconda ipotesi pone alcune criticità. Infatti, il corrispettivo a fronte del patto di non concorrenza deve essere predeterminato nel suo preciso ammontare già al momento della stipulazione del patto. L’erogazione del corrispettivo in costanza del rapporto rende difficilmente determinabile ex ante la contropartita economica alle future – e certe – limitazioni all’attività di lavoro del prestatore.
Inoltre, il dipendente che abbia già percepito l’intera utilità economica prevista dal patto – avendone oltretutto sofferto un maggior carico fiscale – si troverà a doverne sopportare soltanto gli effetti sfavorevoli – in termini di maggiori difficoltà occupazionali e perdita di reddito – ed avrà dunque tutto l’interesse a contestare la validità del patto, da cui non trae più alcun utile, confidando sul recupero delle maggiori opportunità di impiego pregiudicate dal patto.
Per tale motivo, parte della giurisprudenza prevalente ritiene che il patto di non concorrenza, nel quale sia previsto il pagamento di un importo fisso mensile durante la vigenza del rapporto di lavoro, sia invalido, in quanto questo meccanismo introduce una variabile aleatoria legata alla durata del rapporto di lavoro, mentre la congruità nel corrispettivo deve essere valutabile in astratto, a prescindere dalla durata del rapporto di lavoro.
Tuttavia, recentemente la Cassazione ha ritenuto valido un patto di non concorrenza, il quale preveda che il corrispettivo venga erogato nel corso del rapporto di lavoro (e non alla sua scadenza), commisurato ad una percentuale della retribuzione mensile, da erogarsi con la medesima periodicità di questa, purché sia determinato in modo non simbolo o manifestamente iniquo o sproporzionato.
2.4 L’oggetto del patto di non concorrenza
IIl divieto del patto di non concorrenza può riguardare qualunque tipo di attività autonoma o subordinata che possa nuocere all’azienda, e può non essere limitato alle sole mansioni svolte dal lavoratore ma estendersi a qualsiasi attività in concorrenza con quella del datore di lavoro. Ciò che rileva è l’attività svolta dai due diversi datori di lavoro: se l’ambito in cui essa esplica è il medesimo, le due imprese devono essere ritenute in concorrenza, e di conseguenza, l’ex dipendente che collabori con la seconda viola il patto di non concorrenza sottoscritto con la prima. Non possono essere invece oggetto del patto attività estranee allo specifico settore produttivo o commerciale nel quale opera l’azienda, in quanto inidonee ad integrare concorrenza.
2.5 L’area geografica del patto di non concorrenza
In quarto luogo, nel patto deve essere individuata un’area geografica, avente un’estensione delimitata e congrua. Pertanto, il patto di non concorrenza è nullo se la limitazione territoriale non è espressamente determinata o se è troppo estesa o generica (ad esempio, limitazioni riguardanti tutto il territorio europeo), perché si impedirebbe totalmente al lavoratore la possibilità di (re)impiegarsi. Tuttavia, in alternativa o in aggiunta alla specificazione territoriale dell’estensione del vincolo, è comunque ammessa l’indicazione della denominazione di imprese concorrenti.
In ogni caso, la valutazione di liceità di un patto di non concorrenza sotto questo profilo deve essere effettuata caso per caso e sulla base di un’analisi complessiva dell’accordo, tenendo in considerazione anche il corrispettivo previsto per il lavoratore.
2.6 La durata del patto di non concorrenza
Infine, il patto di non concorrenza non può avere durata superiore a 5 anni per i dirigenti e 3 anni per gli altri lavoratori subordinati. Nel caso in cui venisse pattuita una durata superiore, essa verrà automaticamente ridotta ai limiti massimi previsti dalla legge, ai sensi dell’art. 1419, comma 2 c.c. La stessa durata massima si applica anche in caso in cui le parti non abbiano stabilito la durata del patto.
3. Clausole accessorie al patto di non concorrenza
Spesso vengono inserite all’interno dei patti di non concorrenza clausole accessorie, quali ad esempio:
- clausola penale, in forza della quale, in caso di inadempimento all’obbligo di non concorrenza, il dipendente deve pagare un importo predeterminato in favore del datore di lavoro (oltre a restituire quanto eventualmente già percepito a titolo di corrispettivo per il patto):
- diritto di recesso, in base alla quale, entro una certa data, il datore di lavoro può decidere di recedere unilateralmente dal patto, nel qual caso il dipendente non sarà tenuto al rispetto di obblighi di non concorrenza e il datore di lavoro non sarà tenuto a pagare alcun corrispettivo; come si è accennato, tuttavia, la giurisprudenza prevalente ritiene tale clausola nulla, in quanto non può essere attribuito al datore di lavoro il potere unilaterale di incidere sulla durata temporale del vincolo o di eliminare il corrispettivo pattuito in favore del lavoratore; pertanto, un recesso del patto comunicato in forza di tale clausola non ha alcun effetto e le parti restano vincolate alle obbligazioni in esso contenute;
- diritto di opzione, in base al quale il datore di lavoro si riserva il diritto di scegliere, entro un termine stabilito, se avvalersi o meno del patto di non concorrenza; in caso di esercizio del diritto di opzione il patto diverrà efficace, mentre in caso contrario, entrambe le parti saranno libere dalle obbligazioni in esso contenute; la giurisprudenza più recente ritiene valida tale clausola.
4. Le conseguenze in caso di violazione del patto di non concorrenza da parte del dipendente
Per il caso di violazione del patto di non concorrenza, il datore può:
- risolvere il patto di non concorrenza per inadempimento, chiedere la restituzione del corrispettivo pagato ed il risarcimento dei danni subiti a causa dell’attività svolta dall’ex dipendente in concorrenza
- oppure chiedere l’adempimento del patto di non concorrenza