Come si è visto in un altro articolo, l’art. 2495 comma 1, c.c. stabilisce che i liquidatori, una volta depositato il bilancio finale di liquidazione della società, devono chiederne la cancellazione dal Registro delle Imprese
A seguito della nuova formazione dell’art. 2495 comma 2 c.c., introdotta dalla riforma delle società del 2003, la cancellazione delle società (sia di capitali che di persone) ha efficacia costitutiva, idonea a determinare la totale estinzione della stessa.
Sono tuttavia previste due eccezioni al principio per cui la cancellazione della iscrizione della società nel Registro delle Imprese ne determina l’estinzione. Si tratta di due ipotesi nelle quali il legislatore, operando una fictio iuris, considera la società come ancora esistente, al solo scopo di evitare la disgregazione del patrimonio a garanzia dei creditori concorsuali e del fisco. Esse sono:
- la possibilità che la società venga fallita entro un anno dalla cancellazione (art. 10 comma 1 della L.F.);
- la possibilità di contestare alla società debiti di natura tributaria entro 5 anni dalla cancellazione, ai sensi dell’art. 28, comma 4, D.lgs. n.175/2014. Questo punto verrà approfondito più avanti.
L’art. 2495, comma 2, c.c. regolamenta quindi la sorte dei c.d. “residui” passivi, vale a dire dei debiti della società che residuino dopo la cancellazione di quest’ultima. La norma esprime un principio fondamentale: l’estinzione della società conseguente alla cancellazione non determina l’automatica estinzione delle obbligazioni che ad essa facevano capo non ancora soddisfatte, poiché ai creditori sociali è consentito far valere le proprie pretese nei confronti di altri soggetti (soci e/o liquidatori) a determinate condizioni.
2.La responsabilità degli ex soci nei confronti dei creditori sociali
L’art. 2495, comma 2, c.c., dopo aver escluso la società dal novero dei soggetti nei cui confronti i creditori sociali possono rifarsi dopo che è avvenuta la cancellazione della stessa dal Registro delle Imprese, individua due categorie verso cui essi vantano azione civile per il recupero dei loro crediti: i soci e i liquidatori
Qualora dunque esistano ancora crediti sociali dopo la cancellazione della società dal Registro delle Imprese, i creditori non possono più agire nei confronti della società, che ormai si è estinta, ma possono invece agire nei confronti degli ex soci, nei limiti delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione (compresi gli eventuali acconti da questi ricevuti ai sensi dell’art. 2491 comma 2 c.c.).
Secondo la giurisprudenza prevalente, i debiti della società cancellata (e dunque estinta) si trasferiscono ai soci tramite una successione “pro quota” nel lato passivo della medesima obbligazione originariamente sorta in capo alla società. Grava sul creditore l’onere della prova circa la distribuzione dell’attivo sociale e la riscossione di una quota si esso in basi al bilancio finale.
Dopo l’estinzione della società, ciascun socio risponde per tutto il credito vantato dal creditore sociale insoddisfatto, solidalmente con gli altri soci. I creditori possono quindi rifarsi nei confronti di tutti i soci chiedendo a ciascuno di essi di pagare per intero il debito, e il socio che ha pagato l’intero ha l’azione di regresso nei confronti degli altri soci per le quote di loro spettanza.
3. La responsabilità dei liquidatori nei confronti dei creditori sociali
L’art. 2495, comma 2, c.c. prevede un secondo potenziale soggetto passivo dell’azione dei creditori sociali: si tratta dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da loro colpa.
Il comportamento dei liquidatori si può ritenere colposo quando essi non adempiono i doveri a loro imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico assunto all’atto della nomina, cioè come visto nei paragrafi precedenti, il dovere di liquidare le attività con l’impegno necessario per la massimizzazione dei ricavi, di accertare attraverso un accurato controllo contabile la posizione debitoria della società, di soddisfare i creditori sociali con le somme ricavate dalla realizzazione dell’attivo e, soltanto dopo l’estinzione delle passività, di ripartire tra i soci l’eventuale residuo attivo.
In particolare, ad avviso della giurisprudenza, il liquidatore deve rispettare il principio della par condicio creditorume delle rispettive cause di prelazione, qualora la massa attiva della società non consenta il pagamento integrale di tutti i debiti. I liquidatori non possono infatti compiere dei riparti di attivo senza aver necessariamente soddisfatto prima i creditori sociali perché in caso contrario andrebbero inevitabilmente a generare una lesione del diritto di credito nei loro confronti.
La giurisprudenza ha individuato i seguenti comportamenti sanzionabili del liquidatore:
- predisposizione di bilanci falsi;
- esistenza, nel bilancio finale di liquidazione, di una massa attiva distribuita, ai soci, invece che ai creditori;
- mancanza di tale massa attiva imputabile alla mancanza di attività professionale e diligente dei liquidatori;
- distrazione dell’attivo;
- omessa riscossione di un credito della società agevolmente recuperabile;
- vendita dei beni sociali avviene a prezzi notevolmente inferiori a quelli di mercato;
- distribuzione incauta di acconti ai soci.
4.Le sopravvenienze e sopravvivenze attive
E’ possibile che, dopo la cancellazione della società, sorgano crediti della stessa verso terzi o emergano beni residui, non risultanti dal bilancio finale di liquidazione (c.d. sopravvenienze attive). Tale eventualità non è espressamente regolamentata dal codice civile.
Essendo escluso che la cancellazione della società dal registro delle imprese faccia venire meno tali sopravvenienze, la giurisprudenza ritiene che tali crediti o beni si traferiscano, con la cancellazione ed estinzione della società, in capo agli ex soci, tra i quali si istaura un regime di contitolarità o di comunione indivisa sugli stessi. Gli ex soci divengono quindi titolari di tali attività in proporzione alle rispettive quote/partecipazioni detenute nella società prima dell’estinzione e, quindi, alla quota di liquidazione ricevuta.
Di conseguenza, si trasferisce agli ex soci anche la legittimazione processuale a far valere tali diritti, mentre i creditori sociali insoddisfatti potranno agire contro questi ultimi, pro quota, ai sensi dell’art. 2495 comma 2 c.c.
Diverso è il caso in cui si proceda alla cancellazione della società quando non tutto il patrimonio di questa è stato liquidato, e vi sono beni residui- che non sono stati venduti e il cui ricavo non è stato ripartito tra i soci- risultanti dal bilancio finale di liquidazione.(c.d. sopravvivenze attive), ossia beni che sono ” sopravvissuti” alla liquidazione. Si pensi ad esempio al caso in cui la società sia proprietaria di un immobile (un capannone o un ufficio) e che essa venga cancellata dal Registro delle Imprese prima che tale bene sia venduto.
In questo senso, parte della dottrina ritiene che non possa dirsi compiuta la liquidazione se sussistono i presupposti per riaprire il procedimento di liquidazione. A seguito della cancellazione dal Registro, la società- per così dire- “rivive” e verrebbe rappresentata dal liquidatore. La riapertura del procedimento di liquidazione garantisce che il bene non liquidato venga destinato esclusivamente alla soddisfazione dei creditori sociali.
La giurisprudenza prevalente (a partire dalle sentenze della Cass. Sez. un. n. 6070,6071 e 6072 del 12 marzo 2013) ritiene invece che qualora all’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in base al quale i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, in proporzione alle rispettive quote detenute nella società prima dell’estinzione. Di conseguenza, i creditori della società ormai estinta potranno aggredire esecutivamente i beni ricevuti dagli ex soci, soddisfandosi sul valore effettivo di realizzo derivante dalla vendita di tali beni.
Può verificarsi altresì il caso di crediti che non vengano iscritti nel bilancio finale di liquidazione; come nell’ipotesi in cui il liquidatore conosca la sussistenza di tale posta attiva, ma cosciente del fatto che non sia facilmente liquidabile (perché consistente in una mera pretesa o in un credito per cui deve essere richiesto il riconoscimento mediante azione giudiziaria) non si adopera per inserirla in bilancio.
Secondo la giurisprudenza prevalente, la richiesta anticipata, da parte del liquidatore, di cancellazione della società, senza aver proceduto alla liquidazione integrale dell’attivo preesistente oppure senza aver atteso (in base a elementi noti al liquidatore) i tempi necessari alla maturazione/sopravvenienza di tale attivo in capo alla società, non equivale ad un comportamento di rinuncia al credito/all’attivo, ma integra viceversa un’omissione colposa del liquidatore, che comporta la sua personale responsabilità verso i creditori sociali insoddisfatti.
In altri termini, i crediti di una società commerciale estinta non possono ritenersi rinunciati per il solo fatto che non siano stati evidenziati nel bilancio finale di liquidazione; ciò a meno che tale omissione non sia accompagnata da ulteriori circostanze – che devono essere verificate in concreto – tali da non consentire dubbi sul fatto che l’ommessa apposizione in bilancio non possa avere altra causa se non la volontà di rinunciare a quel credito. Questo potrà verificarsi nel momento in cui il liquidatore, che non abbia agito per il recupero del credito, abbia operato una valutazione di convenienza in termini di realizzo, rinunziando ad intraprendere azioni di dubbio esito e tenendo più conveniente procedere alla cancellazione.
La mancata inclusione nel bilancio di liquidazione ha quindi solo valore meramente presuntivo circa la volontà di rinuncia tacita al credito, dovendosi in ogni caso fare una valutazione di merito caso per caso, onde valutare se il credito abbia un certo grado di incertezza, consistendo in una mera pretesa, o un credito controverso e illiquido.
Può invece essere interpretato come un comportamento concludente di rinuncia al potenziale credito/attivo soltanto quello della società che venga cancellata dal Registro delle Imprese in pendenza di un giudizio avente ad oggetto l’accertamento di pretese o crediti incerti e illiquidi. La cancellazione della società dal Registro Imprese (e quindi la sua estinzione) genera infatti, come si è visto, un fenomeno successorio in capo agli ex soci che, da un lato sono responsabili dell’assolvimento di eventuali debiti presenti al momento della cancellazione e, dall’altro lato, hanno comunque il diritto di pretendere l’adempimento delle obbligazioni da parte dei debitori. Gli ex soci – come per tutte le tipologie di creditori –possono agire in conformità di quanto previsto dall’articolo 1236 c.c. e, quindi, possono rimettere il debito, comunicando in forma espressa o tacita di voler estinguere l’obbligazione in modo non satisfattivo.
5. Le sopravvenienze o o sopravvivenze passive
Qualora emergano, dopo la cancellazione della società, debiti sociali non ricompresi nel bilancio finale di liquidazione (sopravvenienze o sopravvivenze passive), i creditori sociali rimasti insoddisfatti potranno agire nei confronti degli ex soci, nei limiti della quota di liquidazione da essi ricevuta(oppure illimitatamente a seconda della forma giuridica della società e del ruolo ricoperto nella società), oppure nei confronti dei liquidatori in colpa, ai sensi dell’art. 2495 comma 2 c.c.
Anche per quanto riguarda gli elementi patrimoniali passivi della società estinta, preesistenti e/o sopravvenuti alla sua cancellazione, si applica infatti il principio della successione dei soci nei debiti sociali, pur con la limitazione della loro responsabilità patrimoniale alla quota eventualmente liquidata. Trattandosi di successione nel debito della società, non vengono meno le eventuali garanzie accessorie ad essa e il titolo esecutivo in possesso del creditore sociale, ottenuto contro la società poi estinta, che potrà essere fatto valere anche contro gli ex soci, nei limiti della loro responsabilità.
I debiti sociali rimasti insoddisfatti dopo la cancellazione- siano essi noti od ignoti-non pregiudicano quindi l’effettiva estinzione della società a seguito della cancellazione dal Registro delle Imprese, ma si trasferiscono in capo agli ex soci, in virtù di un meccanismo successorio, nei limiti della responsabilità che essi avevano secondo il tipo di rapporto sociale prescelto.
6. I debiti tributari della società estinta
Gli effetti pregiudizievoli per le ragioni erariali derivanti dalla cancellazione della società dal Registro delle Imprese ha determinato l’intervento del legislatore, che ha introdotto una nuova disciplina dagli effetti della cancellazione della società ai soli fini fiscali.
L’art. 28 comma 4 D.lgs. n. 175/2014 prevede che “ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi, contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’art. 2495 c.c. ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal registro delle imprese”.
L’art. 36 DPR n. 602/73, modificato dal D.lgs. n. 175/2014, disciplina diversamente l’onere probatorio in capo ai soggetti nei cui confronti l’A.F. può agire per il recupero delle imposte accertate in capo a società di capitale cancellate.
Tale norma prevede infatti, anzitutto, che i liquidatori “che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività della liquidazione le imposte dovute per il periodo dalla liquidazione medesima e per quelli anteriori rispondono in proprio del pagamento delle imposte se non provano di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di aver soddisfatto crediti di ordine superiori a quelli tributari. Tale responsabilità è commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti”.
La norma prevede quindi la responsabilità personale dei liquidatori, nel caso in cui, salva prova contraria, abbiano distribuito somme ai soci (in violazione dell’obbligo di rispettare il grado di privilegio dei crediti) relative all’anno di liquidazione oppure ad anni precedenti o abbiano soddisfatto preliminarmente crediti di rango inferiore rispetto a quelli tributari. Qualora i liquidatori non dimostrino di aver assolto tutti gli oneri tributari (a nulla rilevando l’intervenuta estinzione della società), essi stessi sono tenuti a rispondere in proprio del versamento dei tributi dovuti dalla società estinta, nei limiti dei crediti erariali.
La novità introdotta dalla norma attiene peraltro solo l’inversione dell’onere della prova, la responsabilità personale e patrimoniale dei liquidatori era già prevista, nella versione previgente; infatti, mentre prima era l’A.F. a dover provare che i liquidatori non avessero adempiuto all’obbligo del soddisfacimento privilegiato dei crediti tributari, spetta ora ai liquidatori (al fine di evitare il pagamento di debiti d’imposta divenuti certi ed esigibili successivamente alla cancellazione) fornire prova contraria, dimostrando di aver gestito la fase di liquidazione secondo legge e di non aver né assegnato beni ai soci, né soddisfatto crediti di rango inferiore rispetto a quelli tributari prima di aver onorato questi ultimi.
In base alla norma in oggetto, dunque, l’effetto estintivo della società non è del tutto rimosso, ma solo rinviato di cinque anni; spetta al liquidatore, una volta ricevuto l’atto di accertamento, dimostrare di aver rispettato le disposizioni che pretendono il soddisfacimento dei debiti tributari prima di procedere a soddisfare crediti di rango inferiore o di procedere nell’assegnazione dei beni ai soci. La responsabilità del liquidatore scatta se questo non ha saldato tutti i debiti di natura tributaria di grado superiore a quello riferibili ai soci, in analogia a quanto prescritto per una procedura concorsuale o esecutiva.
Ai sensi dell’art. 36 DPR n. 602/73, inoltre, i soci rispondono per il pagamento delle imposte se, “nel corso degli ultimi due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione” abbiano ricevuto “denaro o altri beni sociali in assegnazione” dagli amministratori o abbiano avuto in assegnazione “beni sociali” dai liquidatori “durante il tempo della liquidazione”.
Presupposto della responsabilità dei soci è l’assegnazione dei beni o la riscossione di somme di denaro da parte di questi ultimi, risultanti dal bilancio di liquidazione relativamente agli ultimi due anni, ai sensi dell’art. 2495, comma 2 c.c.