La sentenza della Cassazione n. 40174 ha evidenziato un caso di ipotesi di reato di “rifiuto di atti d’ufficio.” Esamina il ritardo nel deposito degli atti relativi a procedure fallimentari e concordatarie da parte del curatore fallimentare e commissario liquidatore.
Il reato ex. art. 328 c.p. (rifiuto di atti d’ufficio) consiste nel mancato adempimento di un’attività doverosa, per il compimento della quale è fissato un termine unico finale e non soltanto iniziale, essendo il soggetto obbligato all’adempimento appena possibile.
Ai sensi dell’art. 328 c.p., il reato di rifiuto di atti d’ufficio si consuma nel momento stesso in cui si verifica l’omissione o è stato opposto il rifiuto.
La sentenza della Cassazione, però, aggiunge precisazioni importanti. Sottolinea che è il carattere di indifferibilità dell’atto da compiere (il cui mancato compimento mette in pericolo un bene giuridicamente tutelato) a conferire rilevanza penale e punibilità all’omissione o al ritardo.
Non basta che si verifichi l’ omissione o il ritardo, ma è necessario che esse creino una situazione di concreto pericolo per il bene implicato.
In questo caso, l’omissione o il rifiuto sono penalmente rilevanti in quanto ledono il corretto svolgimento della funzione giudiziaria.
La sentenza della Cassazione afferma che il reato non si consumi automaticamente sin dalla scadenza del termine entro il quale l’atto deve essere compiuto, atteso che la norma non punisce il mero ritardo, inteso come inosservanza di un termine anche se perentorio, ma il ritardo che si manifesti in forma di rifiuto indebito dell’atto, e quindi, solo quando l’inerzia silente del pubblico ufficiale si prolunghi in modo non più tollerabile oltre la scadenza di detto termine. Ciò accade quando l’entità del ritardo, valutato alla stregua di tutte le circostanze del caso e dell’ordinamento di riferimento, generi una situazione di concreto pericolo per l’interesse tutelato.
La sentenza in esame precisa altresì che la disposizione penale dedicata al rifiuto di atti d’ufficio prevede due fattispecie di reato.
Il primo comma punisce la condotta del pubblico ufficiale che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che per ragioni di giustizia, di sicurezza pubblica di ordine pubblico o di igiene e sanità deve essere compiuto senza ritardo.
Il secondo comma punisce il pubblico ufficiale che, fuori dei casi precedenti, entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo.
Nella prima ipotesi, in ragione dell’incidenza degli atti su materie specifiche (giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico, igiene o sanità), il mancato sollecito compimento dell’atto entro il più breve tempo possibile (ovvero “senza ritardo”) integra di per sé il reato.
Nella seconda ipotesi, ai fini della integrazione della fattispecie, è necessario il concorso di due condotte omissive costituite dalla mancata adozione dell’atto entro trenta giorni dalla richiesta scritta della parte interessata e la mancata risposta sulle ragioni del ritardo.
Nella vicenda in esame è stato accertato che le due procedure concorsuali, una di fallimento e l’altra di concordato preventivo, sono state portate a termine utilmente essendo incorso l’imputato, nella veste di curatore e commissario liquidatore, solamente in alcuni ritardi nel predisporre il piano di riparto dei creditori nella procedura di concordato preventivo e nel comunicarlo ai creditori una volta predisposto; mentre con riguardo alla procedura del fallimento il ritardo avrebbe riguardato la comunicazione del piano di riparto ai creditori.