Discussioni e perplessità suscita la norma del Ddl. Bilancio 2025 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2025) che impone la presenza di un rappresentante del MEF all’interno delle società che percepiscono contributi statali di rilevanza significativa. L’art. 112 del provvedimento, si legge, ha l’obiettivo di “potenziare le funzioni di controllo e di monitoraggio della finanza pubblica”.
Il rappresentante integrerà l’organo di controllo a decorrere dalla prima scadenza del collegio successiva all’esercizio in cui il contributo ricevuto dallo Stato supera la il limite consentito, ossia 100.000 euro annui, e verrà meno alla prima scadenza del collegio successiva all’esercizio in cui il contributo sarà tornato sottosoglia.
Il rappresentante, però, non si andrà ad aggiungere ai sindaci o ai revisori previsti, il cui numero non sarà aumentato, ma ne sostituirà uno di loro. Ciò permette di non aggravare i costi dell’organo di controllo in capo alle imprese. Entro 120 giorni dall’entrata in vigore della legge, le società interessate dovranno adeguare i propri statuti e regolamenti interni.
Come detto inizialmente, la norma suscita perplessità e critiche.
La posizione dell’ANC
Secondo Marco Cuchel, Presidente dell’ANC, la norma pregiudica “l’autonomia delle società, le quali possono evidentemente percepire il provvedimento come un’ingerenza nella loro sfera gestionale, inoltre c’è un aspetto economico da non sottovalutare, considerato che il costo del compenso del revisore nominato dal MEF è previsto che sia interamente a carico delle società coinvolte”.
Inoltre, aggiunge il Presidente, “l’incarico di revisione è già svolto da professionisti con dei requisiti necessari di ampia professionalità”, che sono una garanzia per il controllo della società.
La posizione dei commercialisti
Secondo l’associazione sindacale dei commercialisti, “è l’intero impianto normativo riguardante gli organi di controllo delle società che dovrebbe essere oggetto di una profonda revisione.”