Va revocato ex. art 2901 c.c. l’atto di cessione d’azienda compiuto dalla società debitrice, con cui questa ha fatto uscire dal proprio patrimonio il principale assete l’unico bene immobile proprio nel momento in cui la società stava attraversando un periodo di difficoltà economico-finanziaria, pregiudicando le ragioni dei creditori.
Così ha stabilito la Corte di Cassazione nell’ordinanza 30140 di ieri, decidendo un caso in cui un Comune (parte creditrice) chiedeva che fosse dichiarato inefficace l’atto in forza del quale la società debitrice aveva ceduto ad un’altra il proprio principale asset, costituito dall’azienda, e l’unico cespite immobiliare della società, successivamente fallita, per un corrispettivo di gran lunga inferiore al valore di bilancio.
Per comprendere la decisione è utile ricordare che, per ottenere la revocatoria di un atto a titolo oneroso (art. 2901 c.c.), occorre che:
– questo abbia causato un pregiudizio per il creditore (c.d. eventus damni), conosciuto dal debitore;
– il terzo coinvolto nell’atto dannoso (in questo caso, la società cessionaria) fosse consapevole del pregiudizio arrecato dall’atto (c.d. consilium fraudis).
La Corte di Cassazione, nel respingere i motivi di ricorso “sostanziali” ha motivato proprio su questi aspetti, affermando, con riferimento all’evento pregiudizievole, che, “a fondamento dell’azione revocatoria ordinaria, non è richiesta la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito, che può consistere non solo in una variazione quantitativa del patrimonio del debitore, ma anche in una modificazione qualitativa di esso,
Il prezzo di cessione era molto inferiore al valore effettivo
Inoltre, all’azienda ceduta era stato attribuito, in sede di cessione, un valore molto inferiore rispetto a quello reale (circa 2 milioni di euro, a fronte di un valore pari circa al doppio, indicato dalla perizia disposta nel procedimento penale per i delitti di bancarotta fraudolenta, riferiti all’operazione di cessione del ramo di azienda, contestati ad amministratori e componenti del collegio sindacale della società fallita).
In secondo luogo, quanto al consilium fraudis, non è stato sindacato in Cassazione l’accertamento dei giudici di merito, che avevano tratto utili elementi di decisione dalla circostanza che lo stesso soggetto rivestiva la carica di amministratore sia nella società cedente che nella cessionaria, nonché dalle modalità della corresponsione del prezzo della cessione, che in minima parte era stato versato, mentre, per il resto, era stato previsto l’accollo dei debiti della cedente (il corrispettivo, quindi, era costituito per lo più da beni non identificabili e insuscettibili di esecuzione forzata).