La Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto dalla ex moglie abituata ad una “vita lussuosa” ha ribadito la funzione assistenziale, equilibratrice e perequativo-compensativa dell’assegno di mantenimento. Vediamo il caso.
Che cos’è l’assegno divorzile?
Assegno divorzile, secondo la legge italiana, è un emolumento economico che può essere stabilito dal Tribunale a seguito del divorzio dei coniugi.
Su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in unica soluzione dove questa sia ritenuta equa dal Tribunale.
Normativamente è disciplinato dalla legge 01/12/ 1970 n. 898, così come modificata nel corso degli anni.
In particolare l’articolo 5, comma 6 della stessa, stabilisce che con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ognuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio individuale o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando lo stesso non abbia mezzi adeguati o non se li possa procurare per motivi oggettivi.
Lo stile di vita durante e dopo il matrimonio
Nella vicenda, con sentenza emessa il 13.04.2022 su appello dell’ex marito, la Corte di Appello di Bologna, nel confermare gli esiti cui era giunto il Giudice di prime cure, si è pronunciata sui rapporti economici e familiari che gli ex coniugi, protagonisti della vicenda giudiziaria in esame, erano tenuti a rispettare a seguito ed in ragione dell’avvenuto divorzio. Nell’ambito di tali statuizioni, è stato in particolare confermato l’importo dell’assegno divorzile di euro 600 che l’ex marito era tenuto a versare mensilmente in favore della ex moglie. Invero, la Corte d’Appello, in applicazione degli elementi di cui all’art. 5 comma 6 della Legge 898/1970, ha riconosciuto natura composita all’assegno divorzile, tenendo in considerazione le condizioni economiche dei coniugi (profilo assistenziale dell’assegno) ed il contributo personale ed economico fornito da ciascun coniuge alla vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascun coniuge (profilo compensativo dell’assegno), anche alla luce della durata del vincolo matrimoniale e dell’età anagrafica dell’avente diritto (sul punto si veda Cass. Ss.uu. n. 18287/2018).
Profilo assistenziale e compensativo dell’assegno
Per quanto concerne il profilo assistenziale, la Corte evidenzia come risultava evidente la sproporzione reddituale tra i coniugi, non avendo l’ex moglie alcuna fonte reddituale o patrimoniale, mentre l’ex marito disponeva di elevate risorse economiche, come poteva desumersi dalle sue ultime dichiarazioni dei redditi.
Per quanto invece attiene il profilo compensativo, il Giudice di secondo grado ha evidenziato che, pur non potendosi affermare, come invece aveva fatto l’appellata nel giudizio di primo grado, che l’ex moglie avesse contribuito alla formazione del patrimonio familiare, considerata la breve durata del vincolo matrimoniale (solo 5 anni), poteva la contrario ritenersi provato che ella avesse, in accordo con il marito, cessato la propria attività lavorative (di indossatrice, commerciante e P.R.) per dedicarsi unicamente al benessere della famiglia e del figlio.
Tenuto dunque conto delle elevatissime capacità reddituali dell’appellante e del lussuoso stile di vita che era stato offerto alla moglie durante il matrimonio (appartamenti, gioielli, donazioni in denaro, automobile ecc.), la Corte di Appello ha ritenuto congruo l’importo dell’assegno divorzile quantificato dal Giudice di prime cure, confermandone dunque l’entità.
La decisione della Cassazione
Avverso la sentenza d’appello, l’ex marito proponeva ricorso in Cassazione, lamentando il mancato esame da parte del Giudice di merito, di alcuni fatti decisivi ai fini della decisione, nonché la violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. e dell’art. 5 legge 898/1970.
La Suprema Corte, con sentenza n. 30712/2023 (sotto allegata), esaminando i motivi d’impugnazione sotto il profilo strettamente processuale, ha ritenuto che gli stessi non potessero superare il vaglio d’ammissibilità e ha dunque respinto le doglianze del ricorrente, condannando lo stesso alla refusione delle spese legali in favore dell’ex moglie.
Nel respingere le contestazioni mosse dall’ex marito per i suddetti motivi, la Cassazione ha avuto, tuttavia, modo di precisare che, la Corte d’Appello aveva già valutato le circostanze portate all’attenzione della Corte, posto che “dallo stesso quantum dell’assegno divorzile (600,00 euro mensili), come espresso in sentenza, si comprende che la Corte abbia tenuto conto di tutti i fatti nuovamente citati da controparte, poiché, in caso contrario, l’importo dell’assegno sarebbe stato maggiore, soprattutto alla luce del divario economico esistente tra le parti, delle ingenti risorse del e dello stato di disoccupazione dell'(ex moglie)”.
Il Giudice di legittimità, ha proseguito affermando che “può (..) ritenersi che la Corte D’Appello abbia, in realtà, correttamente applicato, motivandolo, l’art. 5 della I. 898/1970 e il carattere composito dell’assegno divorzile, il quale, invero, è stato fissato nell’ammontare “contenuto” di 600,00 euro (se raffrontato alle condizioni economiche delle parti), e ciò in ragione della corretta interpretazione della funzione assistenziale, ma anche equilibratrice e perequativo- compensativa che deve svolgere l’assegno stesso”.