L’imprenditore non può fallire per debiti inferiori al limite minimo di 30.000 euro.
La Corte di Cassazione, con ordinanza n, 2223 del 30 gennaio 2025, ha enunciato il principio in forza del quale la condizione di falllibilità dell’imprenditore (debiti scaduti e non pagati inferiore a 30.000 euro) deve essere accertata e deve risultare al momento della dichiarazione di fallimento, secondo quanto risulti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare.
Ne consegue che non sono rilevanti i documenti prodotti solo nel giudizio di reclamo ex art. 18 del RD 267/42, con cui provare il venir meno di tale soglia, rispetto a quanto risultante al momento della sentenza, anche se formati prima della dichiarazione di fallimento.
Il fatto
Nel caso di specie, era stata ritenuta irrilevante la documentazione dell’adesione da parte della debitrice alla definizione agevolata (ex art. 3 del comma 10 del DL 119/2018), idonea a far scendere l’importo dei debiti scaduti sotto la soglia di rilevanza, con documentazione anteriore alla dichiarazione di fallimento, ma prodotta solo in fase di reclamo.
La soglia dell’indebitamento scaduto di cui all’art. 15 comma 9 del RD 267/42 si configura quale condizione che il giudice deve accertare prima di dichiarare il fallimento.
La contestazione nel giudizio di reclamo ha ad oggetto lo scrutinio dell’effettiva e sola loro sussistenza, al momento della pronuncia resa dal tribunale e secondo lo stato degli atti, con l’interrogativo cioè se essi risultavano (secondo il comma 9 dell’art. 15 del RD 267/42) nel processo.
Sono, pertanto, irrilevanti i fatti, ancorché precedenti la decisione, ma solo in quanto successivamente fatti emergere in sede di reclamo, volti a dimostrare che la soglia di rilevanza ex lege non era in fatto raggiunta al momento della dichiarazione di fallimento.